RICOSTRUIAMO ROMA. INSIEME

Perché siamo qui?

Perché vogliamo avviare un progetto di ricostruzione morale, economica, politica amministrativa della città.

Siamo qui perché vogliamo partire dalle periferie. Roma non è un insieme di territori omogenei. Gli indicatori economici, sociali e demografici dei municipi centrali sono distanti da quelli dei municipi di confine quanto gli indicatori della Lombardia sono distanti da quelli della Calabria.

Siamo qui perché a Ostia più profonda è stata la ferita alla legalità, più ingiusta la negazione di diritti di cittadinanza, più violenta l’appropriazione di beni comuni, più sistematica la compressione di opportunità di lavoro e di fare impresa, sopratutto per i più giovani.

Infine, siamo qui perché qui vi sono, diffusi, gli “anticorpi” per sconfiggere le malattie e avviare la ricostruzione. A Ostia operano organizzazioni mafiose. Le dobbiamo sconfiggere senza se e senza ma. Ma Ostia non è città mafiosa. A Ostia, i cittadini sono straordinarie risorse per la ricostruzione. Il Municipio di Ostia deve andare al voto insieme al resto di Roma. Chiederemo al Governo di rivedere la decisione presa. È incomprensibile, di fronte a “Mafia Capitale”, un fenomeno sistemico, certamente non confinato a Ostia, lasciare fuori Ostia dal riavvio della ricostruzione democratica.

Lo scoperchiamento di “Mafia Capitale” e la grave conclusione “notarile” dell’amministrazione Marino chiudono una lunga e contraddittoria stagione politica a Roma.

La preziosa attività della magistratura ha portato alla luce un sistematico intreccio tra criminalità più o meno organizzata, rappresentanza politica e istituzionale, funzioni amministrative. Un intreccio che ha sottratto risorse alla collettività, ha negato diritti fondamentali e opportunità a lavoratori e imprese, ha impoverito e mutilato servizi fondamentali per i cittadini. In un continuum tra illegalità e arbitrio clientelare. Quasi ogni ambito dell’intervento comunale e municipale è stato direttamente o indirettamente contaminato: dagli appalti per la gestione dell’accoglienza dei migranti, alle concessioni per gli arenili. Senza alcuna volontà di relativizzare la gravità di “Mafia Capitale”, va anche riportata attenzione sull’appropriazione di beni comuni nel pieno rispetto della legalità attraverso la manipolazione di regole e la piegatura di scelte discrezionali in favore di interessi particolari e forti, in primis nel campo dell’urbanistica e degli assetti proprietari del patrimonio comunale mobiliare e immobiliare, dei business dei rifiuti, dell’acqua, dell’energia, della Sanità privata.

L’amministrazione Marino ha segnato una netta discontinuità con la oscura stagione di Alemanno. È emerso che legami resistevano tra settori della giunta, consiglio, dipartimenti e economia criminale. Ma l’inversione di marcia è stata indiscutibile. Dalla chiusura di Malagrotta al ridimensionamento della prevista cementificazione di ulteriori porzioni di territorio comunale ai primi interventi di bonifica delle aziende partecipate. Va riconosciuto il contributo dato dal gruppo consigliare di SEL, in particolare per le pratiche partecipative, ad esempio sulle politiche per affrontare l’emergenza abitativa. Tuttavia, è presto risultata anche evidente l’assenza di una proposta strategica per la città. Non poteva esserci, perché una proposta strategica non si improvvisa. Non è frutto della elaborazione di un singolo. È risultata evidente l’assenza di una classe dirigente adeguata sintonizzata su un progetto di ricostruzione condiviso. È risultato evidente il vuoto di strumenti di connessione tra istituzioni della rappresentanza e interessi sociali diffusi: il principale partito della maggioranza di governo della città quasi interamente concentrato sulle agende particolari dei suoi campioni cittadini, spesso ostili o riluttanti di fronte agli interventi sulle rendite più consolidate. In sintesi, una sintesi provvisoria da articolare alla luce di un’analisi accurata per imparare e fare tesoro di errori e informazioni prima carenti, la giunta Marino merita una valutazione differenziata: una fase contraddittoria, segnata da discontinuità profonde ma, al tempo stesso, carenze progettuali e chiusura al dialogo con la città.

Una fase chiusa dal Pd Nazionale con una ferita profonda alla democrazia, una umiliazione alla città, privata del diritto a una dibattito e deliberazione nell’Aula Giulio Cesare. Una fase di commissariamento della discussione politica come se l’amministrazione fosse proprietà dell’azionista di maggioranza e non patrimonio della città e, in particolare, degli uomini e delle donne partecipi dell’elezione della coalizione di centro sinistra al governo.

Insomma, i mesi che abbiamo alle spalle, oramai oltre un anno dai primi arresti di “Mafia Capitale”, sono stati un terremoto per la democrazia, la politica, l’amministrazione capitolina, il tessuto economico e sociale. L’alternativa non può essere tra restaurazione e discontinuità improvvisata, senza progetto. La fase Marino si è chiusa, malamente, ingiustamente, ma si è irreversibilmente chiusa.

Ora, dobbiamo ricostruire, insieme, Roma. È un dovere civico, prima che politico, di ciascuno di noi. La ricostruzione è morale, ambientale, sociale e economica. Riguarda tutte le classi dirigenti della città, non soltanto la politica e l’amministrazione pubblica. Roma ha le energie per vincere la sfida. Ma è un compito che non può svolgere la magistratura. Neanche è compito dei Commissari governativi. È compito della politica. È necessario avviare e portare a compimento una fase costituente di popolo, fuori dai salotti più o meno illuminati e dai connessi circuiti della politica dei Palazzi.

La Costituente per Roma, proposta qualche settimana fa da Andrea Riccardi, non va lasciata cadere. Innanzitutto, perché coglie lo spessore dei problemi di Roma. Come pure coglie la portata della sfida, l’iniziativa di Francesco Rutelli “La prossima Roma”. La nostra capitale vive una fase di straordinaria transizione, resa più acuta dal quadro nazionale e europeo e dall’agenda liberista dominante nell’euro-zona. Mafia Capitale e la fine traumatica imposta dal Pd alla Giunta Marino sono la punta dell’iceberg dei problemi da affrontare. I sintomi, non le cause.

Quali le cause? I tradizionali motori della crescita di Roma, la spesa pubblica, la rendita immobiliare e finanziaria legata all’edilizia espansiva, i centri direzionali delle grandi imprese di Stato e delle istituzioni finanziare di sistema sono oramai largamente ridimensionati o fuori uso. Oggi, le tre fonti sono drammaticamente insufficienti per un’area metropolitana di oltre 4 milioni di abitanti e, sopratutto, per la multiforme area sociale (impiegati pubblici e privati, insegnanti e personale della Sanità, lavoratori autonomi del commercio e dell’artigianato, giovani professionisti del terziario avanzato) a ridosso o appena sopra la soglia di accesso alle classi medie. Le tre fonti sono irrecuperabili nella loro funzione storica dato il quadro irreversibile della competizione globale, del fiscal compact e delle privatizzazioni, della fine dei grandi volumi di cementificazione. Siamo di fronte a una questione strutturale, profonda, specchio dell’incerto futuro dell’Italia.

Vanno avviati o potenziati i motori per la Capitale del XXI secolo: la cultura e la conoscenza, come “lievito madre” per il tessuto produttivo del territorio. Roma ha la più elevata concentrazione europea di lavoratori della cultura e della conoscenza. Un potenziale enorme, sparso tra le università, le sedi del patrimonio artistico e culturale, le imprese manifatturiere della Tiburtina Valley, i fablab, i policlinici, gli insediamenti istituzionali di eccellenza, i servizi ICT e gli altri a elevato valore aggiunto. Le specificità uniche della Capitale, il Governo e il Parlamento, i Ministeri, le sedi delle ambasciate, uno Stato sovrano di dimensione spirituale globale, possono essere fonte di futuro.

Lo smarrimento delle classi dirigenti, a Roma più che nel resto del Paese, supera i confini della politica e dell’amministrazione e coinvolge anche l’economia, la cultura, la società intera. Oltre al commissariamento del Campidoglio e di quello che era il principale partito della città, sono anche commissariate importanti associazioni di rappresentanza economica, mentre la Camera di Commercio più grande d’Italia è segnata da radicali e debilitanti divergenze.

Roma ha urgente necessità di ricostruire le fondamenta morali, intellettuali e economiche della sua vocazione nazionale e globale. Le energie, il capitale sociale, gli uomini e le donne, le esperienze di impegno civico, sociale, culturale, religioso e anche politico e amministrativo per ripartire esistono. Sono diffuse, ma troppo spesso isolate, sconnesse dalla vita autoreferenziale delle classi dirigenti.

Roma è la capitale d’Italia. È questione nazionale: non per registrare il gradimento del Governo Renzi nella prossima primavera, ma per rilevanza oggettiva. Il governo e il Parlamento, nei prossimi mesi, prima del voto, dovrebbero predisporre la cornice istituzionale per la ricostruzione. Lungo l’impianto proposto da Walter Tocci in “Roma. Non si piange su una città coloniale. Note sulla politica romana” (goWare editore), come prima tappa, senza interventi di portata costituzionale, va approvata la legge per dare rappresentanze direttamente elette dai cittadini alla Città Metropolitana, rideterminarne i poteri legislativi e regolativi e trasformare le amministrazioni municipali in Comuni dotati di piena autonomia, come i comuni della provincia di Roma. Senza una adeguata architettura istituzionale salti di qualità nell’efficienza e nella capacità direzionale sono impossibili.

Allora, mi rivolgo a tutte le forze politiche e alle personalità della politica e della cultura: avviamo insieme la fase costituente per il futuro di Roma. Tutte le energie disponibili devono essere coinvolte. Senza partecipazione attiva del tessuto civico romano ogni impresa di rigenerazione è impossibile. Lavoriamo insieme alle premesse per la competizione elettorale. Senza ambiguità: la fase costituente deve essere l’occasione per definire il minimo comune denominatore per lo sviluppo di Roma, non il terreno di coltivazione della versione romana del Partito della Nazione.

Voglio da qui fare un appello a tutti i parlamentari eletti a Roma: nella chiarezza delle differenze, noi parlamentari romani, tutti, impegniamoci per approvare in 6 mesi la legge per la Città Metropolitana. Lunedì invierò una lettera a ciascuno e ciascuna proponendo un incontro urgente.

La chiave decisiva per dare alla ricostruzione fondamenta solide è, quindi, la partecipazione democratica: a partire dalle periferie, urbane e sociali. Per ricostruire Roma, dobbiamo lavorare, insieme, al programma e alla selezione di classe dirigente da sottoporre a legittimazione democratica. I saperi diffusi, il capitale di solidarietà delle associazioni e dei movimenti, le professionalità nei luoghi di produzione devono diventare protagonisti.

Dobbiamo mobilitare le migliori energie della città per scrivere e dare radici sociali a un programma di governo orientato da pochi fondamentali obiettivi:

  1. un realistico piano di ristrutturazione del debito pubblico capitolino, pre-condizione per aprire spazi di bilancio per politiche di sostenibilità ambientale e sociale del trasporto pubblico e del ciclo dei rifiuti, per la pulizia di strade e giardini, per la scuola, il diritto allo studio, la cultura di quartiere, per interventi di solidarietà e assistenza sociale;
  2. la ristrutturazione del debito pubblico è anche la precondizione per evitare la svendita del patrimonio mobiliare e immobiliare del Comune di Roma. A tal fine, va cancellata la delibera approvata dalla Giunta Marino e va subordinata ogni scelta di alienazione alle prioritarie necessità di utilizzo culturale, sociale, ricreativa degli spazi disponibili, di salvaguardia dei beni comuni, in primo luogo la gestione delle risorse idriche e di attivazione di politiche industriali per lo sviluppo sostenibile;
  3. la riqualificazione del territorio, innanzitutto le periferie, senza consumo aggiuntivo di suoli;
  4. la risposta all’emergenza abitativa sempre più drammatica e le politiche per il contrasto alla povertà per arginare la globalizzazione dell’indifferenza, la cultura e l’economia dello scarto come ogni giorno ci sollecita a fare Papa Francesco;
  5. la valorizzazione delle donne e degli uomini delle amministrazioni capitoline e delle aziende partecipate per qualificare servizi a cittadini e imprese;
  6. il contributo a garantire sicurezza, in una fase di gravi rischi e grandi eventi, mediante il rafforzamento dei legami di comunità, senza comprimere i diritti fondamentali di chi a Roma vive e di chi a Roma arriva come migrante, come turista, come credente. Siamo consapevoli del livello di paura diffuso dopo gli attentati di Parigi. Le domande di sicurezza vanno raccolte, affrontate con l’efficacia delle risposte razionali in termini di intelligence, di controlli, di prevenzione. Proprio per questo non capiamo il blitz delle forze di Polizia martedì scorso al Centro Baobab: va in direzione opposta alla nostra idea di città, all’obiettivo possibile di coniugare sicurezza e solidarietà. Voglio qui ringraziare le decine di volontari e volontarie che in questi mesi difficili, nell’assenza delle istituzioni, hanno garantito accoglienza ai migranti transitanti. Voglio anche ribadire la richiesta al Prefetto Tronca di individuare, prima della prevista chiusura del Centro Baobab, imposta al 31 Dicembre prossimo, di uno spazio adeguato per continuare a svolgere il servizio prezioso svolto a Via Cupa. In assenza di una soluzione alternativa adeguata, la chiusura del Baobab sarebbe inaccettabile.

Infine, è utile insistere su un punto: il Commissario Capitolino agisce per l’ordinaria amministrazione. Le scelte straordinarie, in particolare gli interventi oggetto di profonde divisioni nella consigliatura appena conclusa, per essere realizzati devono prima essere esplicitamente legittimati dal consenso dei cittadini. Il riferimento è, innanzitutto, all’alienazione del patrimonio di Roma Capitale.

Siamo in una fase segnata dal tentativo di tanti di de-politicizzare la politica, dopo essere quasi riusciti a de-politicizzare l’economia. Oltre a proporre come neutro e oggettivo il cambiamento necessario all’Italia, da Palazzo Chigi ora tentano di de-politicizzare le amministrazioni comunali. I comuni devono attappare le buche attraverso gare trasparenti. Sono istituzioni elettive, ma fuori dalla dialettica politica. Manager di grandi eventi pubblici o eredi di grandi imprese private sono i migliori amministratori, dopo i prefetti naturalmente. No. Oggi le città sono il luogo a più elevato potenziale politico. Oggi le città sono l’epicentro della ricostruzione della partecipazione democratica e del conflitto per la giustizia sociale, lo sviluppo sostenibile, i diritti civili.

È una sfida impossibile per qualunque super-uomo o donna, per quanto assistito da geniali operatori del marketing della comunicazione politica e per quanto aiutato dai migliori esperti su piazza.

È ora di girare pagina. La pochezza della discussione pubblica dominante porta alla spasmodica insistenza sul candidato. Vincere le elezioni è condizione necessaria, ma oramai dovrebbe essere chiaro, non sufficiente a governare.

È necessario aprire, qui è ora, in alternativa al Pd del Nazareno, una stagione di discontinuità progettuale da affidare a una classe dirigente adeguata.

Dai qui, oggi, parte un cammino per Roma. Partiamo dalle periferie, da quelle a maggiori criticità e potenzialità. Sappiamo che sarà difficile. Sappiamo che incontreremo anche tanta disillusione è sfiducia nella politica. Ma vogliamo riavviare un dialogo. Ascoltare. Capire. Proporre.

Proporre un “Patto di Cittadinanza” in base al quale si valorizzano, in uno scambio virtuoso tra impegno istituzionale e impegno civico, le esperienze del volontariato e dell’associazionismo ambientalista, culturale, sociale. Un “Patto di Cittadinanza” in forza del quale ogni cittadino di Roma si assume la sua parte di responsabilità per la svolta morale e civile della città a partire dai comportamenti quotidiani nel traffico e nel rispetto degli spazi comuni. Ovviamente, il buon esempio lo deve dare la politica attraverso la trasparenza, il rispetto delle regole, la legalità, la sobrietà dei comportamenti, la civiltà del linguaggio. Dal compromesso al ribasso dove le istituzioni  si piegano a interessi particolari e lasciano fare a ciascuno in palese violazione delle regole all’insegna dell’irresponsabilità politica e individuale, al Patto di Cittadinanza dove, invece, domina il principio di legalità e di responsabilità.

Sono a disposizione per assumermi in prima persona la responsabilità del nostro cammino e della sfida per il governo di Roma. Mi candido. Mi candido, a servizio della città. Una candidatura da verificare nel cammino nella città, negli incontri con le migliori esperienze di solidarietà, di volontariato sociale, ambientale, culturale, per i diritti civili, con le rappresentanze economiche e sociali, con le forze politiche. Chiederò, innanzitutto, un incontro a ciascuno dei 15 presidenti di Municipio, impegnati in prima linea in una fase di vuoto politico. Chiederò un incontro a Ignazio Marino, a Walter Veltroni, a Francesco Rutelli. E poi a Andrea Riccardi autore della proposta di Costituente per Roma.

Non sono il candidato di un partito. Ma è politica, non è soltanto Roma. Il profilo culturale e politico del nostro progetto è chiaro: siamo di parte. Siamo dalla parte del lavoro, in tutte le sue forme di subordinazione, di falsa o debole autonomia, di precarietà, di professionalità colpite, di micro e piccola impresa, di assenza di occupazione. Siamo dalla parte dell’uguaglianza e delle pari opportunità. Siamo dalla parte del diritto allo studio. Siamo dalla parte del reddito di dignità. Siamo dalla parte dei diritti civili. Siamo dalla parte dello sviluppo sostenibile e della valorizzazione dell’ambiente. Domenica saremo alla manifestazione per Cop21. Siamo dalla parte della pace. Siamo dalla parte del diritto alla sicurezza e del dovere di accoglienza.

Mi rivolgo a tutte le persone che vogliono contribuire alla ricostruzione morale, economica e politica di Roma. Mi rivolgo, in particolare, al variegato universo dei lavori: privati e pubblici dipendenti e autonomi, professionisti e precari, disoccupati e esodati. Mi rivolgo, quindi, a chi vive di lavoro o vorrebbe vivere di lavoro ma non riesce a farlo. Il lavoro deve essere l’asse di ricostruzione della città.

Mi rivolgo anche alle energie che hanno contribuito agli atti di discontinuità al fianco dell’amministrazione Marino. Mi rivolgo agli uomini e donne che hanno lasciato il Pd e non si rassegnano nell’astensione. Mi rivolgo a chi, pur rimanendo nel Pd, si vuole impegnare, oltre il Pd, in un progetto per la città.

Ci sono. Mi metto a disposizione, mi candido con entusiasmo e determinazione. Ci ritroveremo a conclusione del percorso di ascolto e proposta alla città per verificare insieme come andare avanti,  per varare programma e classe dirigente.

Al lavoro, insieme, per Roma.

 

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