Vorrei, innanzitutto, ringraziare il gruppo di lavoro promotore delle nostre tre giornate. È stata una fatica politica e organizzativa enorme.
Dopo l’appuntamento del Quirino, il 7 Novembre scorso, avviamo qui, in questo week end, la fase costituente di un partito. È un passaggio, speriamo, di rilevanza storica. Dobbiamo tutti avere piena consapevolezza della sfida. Non siamo qui per definire una soluzione per una competizione elettorale, come tante altre volte è avvenuto, per passare la nottata renziana calata sul centrosinistra. Anche perché non si tratta di una nottata, ma della conclusione di un lungo processo di subalternità della sinistra all’ideologia liberista. Insomma, non siamo qui per una ragione congiunturale, per una soluzione di intrattenimento, in attesa del ritorno alla stagione dell’Ulivo o di “Italia bene comune”. La fase alle nostre spalle, lunga un quarto di secolo, si è chiusa irreversibilmente. È cambiato tutto intorno a noi, in Italia, nell’Unione europea, nello scenario globale.
Siamo qui per segnare la tappa fondativa di un progetto politico di lungo periodo, consapevoli delle discontinuità necessarie in termini di cultura politica, di programma, di interessi economici e sociali da rappresentare. La rottura del centro-sinistra, ossia dell’assetto politico durato un quarto di secolo genera, inevitabilmente, spaesamento. Non dobbiamo lasciarci spaventare dalle nostre differenze. Non vi sono eretici tra noi. Dobbiamo ascoltarci e riconoscere la porzione di verità in ciascuno di noi. Ma non possiamo andare avanti tirati soltanto dai conflitti in risposta alle iniziative regressive del governo: sul lavoro, sulla scuola, sull’ambiente, sui diritti civili, sulla Costituzione, sulla Rai, un bene comune potenziale al quale prestiamo poca attenzione. Dobbiamo riconoscere le “questioni strutturali” non soltanto i singoli problemi per uscire dalla gabbia della politica come amministrazione e rianimare la politica come “storia in atto”.
Quindi, abbiamo bisogno di una bussola culturale per riprendere la navigazione in un mare in tempesta. Le relazioni di venerdì pomeriggio hanno incominciato a fissare i punti cardinali per orientarci. Ha ragione Carlo Galli quando invita a partire dal riconoscimento della sconfitta storica subita dalle forze della sinistra, dentro e fuori la famiglia socialista europea, dopo ’89. Hanno ragione Laura Bazzicalupo e Piero Bevilacqua. Come ha ragione Lucio Baccaro quando sottolinea l’insostenibilità dell’assetto dell’euro-zona, costruito nella prospettiva di rianimare la sovranità democratica in un quadro sovranazionale, ma realizzato come fattore di svalutazione del lavoro. L’alternativa non è la solitaria e disperata uscita dall’euro. L’alternativa è, insieme al programma di democratizzazione dell’euro-zona, la preparazione in un quadro cooperativo di un Piano B pro-labour.
Siamo in una fase di transizione. La sinistra incomincia a risvegliarsi dal lungo sonno del liberismo soft della “Terza via”. Prima la vittoria in Grecia di Syriza, ma svuotata di senso dal blocco conservatore nel cuore dell’euro-zona e dalle complicità della famiglia socialista. Poi, l’affermazione di Jeremy Corbin nella patria del blairismo. E ancora, i risultati elettorali in Portogallo e in Spagna dove i socialisti resistono all’attrazione fatale delle grandi coalizioni e avviano coalizioni con le sinistre critiche. Infine, in queste settimane, gli incredibili risultati di Bernie Sanders nelle primarie per la presidenza degli Stati Uniti.
In sintesi, in un quadro segnato da guerre, migrazioni, svalutazione del lavoro, svuotamento della democrazia e dal risveglio della sinistra oltre confine e oltre oceano, noi siamo impegnati a costruire un soggetto politico autonomo. Autonomo non vuol dire autoreferenziale o confinato nella testimonianza. Autonomo vuol dire che definisce la politica delle alleanze, fondamentale per un partito orientato alla sfida di governo, a partire da se, in stretta relazione con gli interessi e le condizioni sociali da rappresentare, senza subalternità all’altro. Così, possiamo tagliare il cordone ombelicale con il Pd. Cosi, diventiamo adulti. Alcuni vedono nell’autonomia il rischio di cadere in una “ridotta minoritaria”. Attenzione, si può coltivare l’irrilevanza politica anche da postazioni di governo. Lungo la rotta dell’autonomia si corre il rischio di finire come DP, ma prigionieri del collateralismo al Pd è certo che si finisce come il PSDI. Certo, è più comodo. Ricordiamoci sempre che il governo è un mezzo, non un fine.
Autonomia.

In questi giorni, al Teatro Argentina, con la regia di Alessandro Gassmann, Ottavia Piccolo è la protagonista di una agra storia di operaie, un racconto sulla dignità del lavoro lacerata da rapporti di forza sempre più squilibrati: “7 minuti”. Una delle operaie chiede all’altra: “Che cosa sei disposta a perdere per avere il lavoro?” Prima della risposta, è la domanda a essere agghiacciante.
Ecco la frattura con la seconda metà del ‘900 e le Costituzioni nate dalla Resistenza. Oggi, soltanto un interesse è in campo e domina: l’interesse del grande capitale. L’Unione europea e l’euro sarebbero dovute essere un argine agli effetti regressivi dell’economia globale. Sono diventati fattori di aggravamento. L’ideologia dominante impone il modello universale di homo economicus. Noi dobbiamo avere come orizzonte l’antropologia dell’homo faber, l’uomo artigiano del proprio destino. Centrale per la nostra identità è il nesso persona-lavoro. Nell’enciclica “Laudato si”, Papa Francesco ricorda S. Benedetto, con il suo “ora et labora” il primo a riconoscere la dimensione spirituale del lavoro, prima di lui attività considerata servile, animale. È intorno all’homo faber che possiamo declinare il paradigma dell’ecologia integrale e la visione unitaria e sistemica dei diritti: sociali, politici e civili. Il nostro orizzonte deve essere il lavoro di cittadinanza perché continuano a aver ragione i nostri padri costituenti: la Repubblica democratica è fondata sul lavoro. Ma il lavoro di cittadinanza non è in contraddizione con il reddito di dignità. Il reddito di dignità è una strada verso il lavoro di cittadinanza.
Noi dobbiamo costruire le condizioni per dare funzione sociale e politica al lavoro. Soltanto così, nel conflitto e nel compromesso tra interessi diversi si rianima la democrazia. Soltanto così oggi possiamo svolgere una funzione politica significativa. Altrimenti, al governo o all’opposizione, collaterali o autonomi dal Pd, siamo residuali.
La costruzione di un partito è, insieme, progetto e soggetto. Nel nostro linguaggio, il riferimento per il soggetto sono i territori. In particolare, le città, dove i flussi globali impattano. È fertile il paradigma di Aldo Bonomi: i soggetti tra luoghi e flussi. Le città sono i luoghi a più elevata intensità della politica. Sono i luoghi dove si possono coltivare opportunità e talenti o si incancreniscono le marginalità. Le città sono i luoghi dove i soggetti si auto-organizzano per difendere il lavoro, per fare solidarietà, per produrre contro-cultura, tutela dell’ambiente, integrazione fra diversi.
In tante città al voto, costruiamo coalizioni politiche con profondi e diffusi legami sociali. Non sono cartelli elettorali o liste giustapposte. Si strutturano comunità di uomini e donne segnate dalla condivisione di principi di giustizia sociale e ambientale, solidarietà e attenzione ai beni comuni. Sono l’embrione del nostro partito. Sono il protagonismo dei territori invocato in tanti interventi nella nostra bella discussione. Tanto più forti sono le radici sociali, tanto più si accorciano le distanze tra di noi, in particolare tra noi e le forze politiche fuori o ancora poco convinte del percorso avviato qui oggi. Le esperienze nelle città sono i pilastri del nostro progetto e la fonte della nostra classe dirigente.
Chiudo. Alziamo lo sguardo allo scenario di fronte a noi: la raccolta delle firme per i referendum sulla scuola e sul lavoro, il voto del 17 Aprile per fermare le trivelle, poi, a Giugno, le elezioni amministrative, infine, a Ottobre il referendum costituzionale. Sono opportunità straordinarie per costruire il nostro progetto. Abbiamo una enorme responsabilità sulle spalle. Possiamo chiudere una lunga fase regressiva e scrivere una pagina di progresso. Compagne e compagni, la scriveremo, insieme. Buon lavoro.

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