Tratto dall’Huffington Post

Il coraggio della paura. La paura di perdere il referendum costituzionale fa trovare a Renzi il coraggio di superare i vincoli del fiscal compact. Bene. Ex malo bonum. Meglio tardi che mai. Il deficit programmato per il 2017 è al 2,3%. Certo, non siamo di fronte a una manovra espansiva, ma ne era prevista una “tendenziale” decisamente restrittiva. Quindi, cambiano i numeri della NADEF: il debito aumenta rispetto al 2016 e l’obiettivo di aumento del Pil rientra nell’alveo dell’irrealismo ordinario delle previsioni di consenso. In Parlamento, il Governo ci ha fatto discutere su un quadro che sapeva di archiviare 2 giorni dopo il voto sulla risoluzione al NADEF. Che senso ha? Nulla da dire le presidenze delle Camere? Quali sono le novità giunte da Bruxelles tra mercoledì sera e sabato mattina?

Sui “dettagli”, come la spesa sanitaria tagliata di 1,2 miliardi all’anno nonostante l’invarianza formale del Fondo o l’iniquità degli interventi sulle pensioni, torneremo quando saranno disponibili tabelle e norme. Per ora, rimaniamo sul piano macroeconomico. In sintesi, la manovra elettorale non funziona. Perché?

Innanzitutto, il significativo squilibrio di bilancio viene spostato dal 2018 in poi, quindi un pesante aggiustamento continua a incombere e piegare al negativo le famose aspettative di imprese e famiglie, quelle in base alle quali gli agenti economici, secondo la teoria seguita a Palazzo Chigi e al Mef, definiscono i loro comportamenti. Bella contraddizione di un impianto che scommette tutto sugli animal spirits e gli investimenti privati. Secondo, larga parte (6miliardi di euro) delle maggiori entrate sono incerte e una tantum e frutto, per quanto riguarda la rottamazione dei ruoli Equitalia, di un semicondono. Ma la Commissione europea e Berlino troveranno, anche loro nella paura del No all’incombente referendum, il coraggio di non accorgersene. Lo hanno fatto con Rajoy, lo fanno con Hollande, perché all’allineato Renzi no? La rigidità si impone a chi prova a mettere in campo una proposta alternativa, come il Governo Tsipras, bastonato e ricondotto all’ordine teutonico. Renzi, sostenuto da Confindustria e dal blocco delle imprese esportatrici, segue la linea di svalutazione del lavoro imposta da Berlino all’eurozona a suon di “Riforme Hartz”. La narrazione del giovane Primo Ministro italiano “ribelle” serve a fini interni. È tollerata. Finora il giubbotto di Fonzie ha funzionato decisamente meglio del Loden di Monti per somministrare la stessa cura.

Dalla proposta di Legge di Bilancio, sono anche quest’anno sostanzialmente assenti aumenti di investimenti pubblici, inchiodati al livello più basso della storia dell’Italia repubblicana. I numeri delle slides sono il riconfezionamento di quanto già previsto a legislazione vigente o gli “attesi” investimenti privati. Tutto è affidato a imprese, spinte dai super ammortamenti, e famiglie, sollecitate dai bonus ristrutturazioni. È da tempo ora di J. M. Keynes, mentre J. B. Say, l’economista liberista francese di fine XVIII secolo, imperversa nell’eurozona per dare legittimità teorica agli interessi del big business, miope fino al punto da determinare la rivolta delle classi medie attraverso la Brexit, Trump e gli xenofobi continentali.

Se giudicassimo la proposta Legge di Bilancio secondo i principi dell’ortodossia di Bruxelles, sarebbe inaccettabile. Invece, inaccettabile e, oramai, inequivocabilmente autolesionista è il mercantilismo liberista di Bruxelles. Quindi, è utile superare il fiscal compact. Anzi, necessario. Ma la distribuzione a pioggia di risorse, significativa per i diretti beneficiari, è sostanzialmente irrilevante per la ripresa. A tal fine, sarebbe decisivo un sostanzioso programma di investimenti pubblici per sostenere la domanda, variabile cruciale per uscire dalla stagnazione. Un Social Compact di un punto di Pil (17 miliardi) all’anno per tre anni: per mettere in sicurezza i territori dai rischi idrogeologici e le abitazioni dai rischi sismici; per la mobilità sostenibile, innanzitutto nelle città. Al contrario, si punta, secondo l’ortodossia neoliberista, sulle politiche dell’offerta e sulle esportazioni: sgravi a pioggia alle imprese, svalutazione del lavoro e competitività di prezzo. Cerchiamo tutti la domanda interna di qualcun altro. Cosi, l’eurozona rimane inchiodata nella stagnazione.

Insomma, ottimo pacchetto elettorale, ma manovra di galleggiamento per l’economia italiana.

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