Qui, oggi e domani, personalità importanti della sinistra europea, parlamentari europei e nazionali, amministratori di città “ribelli”, autorevoli accademici, leaders di associazioni di rappresentanza sociale e di movimenti prendono parte al quarto appuntamento del “Plan B” per l’Unione europea e l’euro.

È la tappa italiana di un lungo percorso iniziato a Parigi subito dopo l’imposizione al Governo Tsipras del Memorandum-capestro con la Troika da parte del Consiglio europeo del 13 Luglio 2015.

Il Plan B è una piattaforma sulla quale si incontrano e confrontano tutte le posizioni presenti nella sinistra e nell’area progressista europea: da chi punta, nonostante le evidenze, alla “riforma dei Trattati”, a chi invoca la “disobbedienza costruttiva”, a chi ritiene urgente il superamento dell’euro o l’exit di un singolo Paese. Ma il Plan B è una piattaforma orientata, non è un bazar sul piano politico e programmatico, ne è un generico contenitore di tutte le istanze della sinistra.

La mission specifica e distintiva, certo non l’unica, del Plan B è affrontare e risolvere in chiave pro-labour tre problemi, tre tabù nell’Unione europea, tre fattori di aggravamento della svalutazione del lavoro e dello svuotamento della democrazia determinata dal neo-liberismo globale e finanziario. I tre tabù sono: l’euro, ossia l’ordine economico e monetario dell’euro-zona; il commercio internazionale; il debito pubblico, l’unica variabile rimasta “sovrana”, ossia gravante sui redditi da lavoro.

Nel Summit di Copenhagen a Novembre scorso, abbiamo scelto Roma come sede del nostro quarto incontro perché, come sapete, tra un paio di settimane ricorre il 60-esimo anniversario dei Trattati di Roma, firmati proprio qui in Campidoglio il 25 Marzo del 1957 dai governi dei 6 paesi fondatori della Ceca, la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, diventata da allora Comunità Economica Europea. Il prossimo 25 Marzo arrivano a Roma i Capi di Stato e di Governo dei 27 Paesi membri della UE per celebrare la ricorrenza.

Noi, qui, oggi e domani, facciamo la nostra autonoma “celebrazione”. Ma vediamo ben poco da celebrare o festeggiare. Anzi, riconosciamo nel Trattato di 60 anni fa le basi dell’impianto mercantilista poi sviluppato nel Trattato di Maastricht, finalizzato e approvato a ridosso del crollo del Muro di Berlino, nella fase di massima forza egemonica del neo-liberismo e con la sinistra storica spiaggiata.

C’è poco da festeggiare, quindi. È, invece, secondo noi urgente un bilancio critico sulle condizioni e sulle prospettive della UE e dell’euro-zona, alla vigilia di elezioni politiche importanti: settimana prossima in Olanda; poi in Francia e lasciatemi fare un grande in bocca al lupo al nostro compagno Jean Luc Melanchon, candidato alla Presidenza della Repubblica; infine in autunno in Germania.

In estrema sintesi, poi approfondiremo nelle sessioni parallele, l’UE e l’euro-zona sono sulla rotta del Titanic. L’iceberg è vicino. L’indicatore più chiaro è la condizione del lavoro. Non solo i tassi di occupazione, in particolare giovanile. Ad esempio, nel sud Italia sono al 30%. Ma la qualità del lavoro, la precarietà e lo sfruttamento del lavoro, lo smantellamento dei welfare state. Non è un problema congiunturale. Non dipende dall’ostinazione ideologica di qualche burocrate della Commissione europea. No.

La rotta del Titanic di UE e euro-zona è conseguenza fisiologica del mercantilismo, dell’ordoliberismo incardinato nel Paese leader, un ordine economico e sociale fondato sulla svalutazione del lavoro. Nella retorica europeista, l’UE e l’euro avrebbero dovuto fare scudo agli effetti negativi della globalizzazione. Invece, gli hanno aggravati, con la piena corresponsabilità della famiglia socialista europea, impegnata nel liberismo soft, nella “Terza Via” di Blair e Schroeder.

Dobbiamo prendere atto che la “costituzione” vigente nella UE, ossia i Trattati europei e il Fiscal Compact, esprimono principi radicalmente contraddittori con le costituzioni post Seconda Guerra mondiale: i primi sono fondati sulla stabilità dei prezzi e sulla concorrenza; le seconde sulla dignità del lavoro.

 

In tale contesto, è estremamente grave e preoccupante la proposta emersa nei giorni scorsi a Versailles al vertice tra il Presidente Hollande, la Cancelliera Merkel e i Primi Ministri Gentiloni e Rajoy e ribadita ieri a Bruxelles dopo le conclusioni del Consiglio Europeo: “Uniti nella diversità” è il principio guida proposto dalla Cancelliera Merkel per l’UE a velocità multipla e, in tale contesto politico e istituzionale, l’accelerazione dell’integrazione di alcuni Paesi membri per funzioni fondamentali.

 

No. Fermatevi. Non per il veto inaccettabile del “Gruppo di Visegrad”. Fermatevi perché accelerare la velocità di navigazione lungo la rotta mercantilista, lungo la rotta del neo-liberismo globalista e finanziario tracciata da Trattati e dal Fiscal Compact vuol dire anticipare il naufragio.

 

Fermatevi. Non per confermare lo status quo. Al contrario: fermatevi perché per salvare la cooperazione europea è urgente e necessario cambiare radicalmente rotta. Non hanno insegnato nulla la Brexit, la vittoria di Donald Trump negli Stati Uniti, la valanga di No al referendum costituzionale in Italia il 4 Dicembre scorso? Il neo-liberismo globalista e finanziario è insostenibile per i blue collars e i white collars. Il 2016 rappresenta per il neo-liberismo reale quello che il il 1989 è stato per il socialismo reale.

 

Il neo-liberismo globalista e finanziario viene sovvertito dalla rivolta delle classi medie, ma nella UE si vuole accelerare lungo la rotta neo-liberista, nonostante l’UE e l’eurozona abbiano realizzato la forma più estrema storicamente sperimentata di neo-liberismo globalista e finanziario: il Fiscal Compact e una Banca centrale vincolata soltanto al target di inflazione e inibita dalla possibilità di acquisto diretto di titoli di Stato. E, a proposito di banca centrale, voglio ringraziare Fabio De Masi per la sua iniziativa per la trasparenza e l’accountability democratica della Bce, in particolare in merito alla legal opinion ottenuta dall’istituto di Francoforte nel 2015 per il blocco dell’accesso delle banche greche alla liquidità della Bce stessa prima e alla Emergency Liquidity Assistance poi.

 

Una domanda deve assillarci: perché di fronte alla insostenibilità del neo-liberismo chi è in difficoltà si rivolge alle destre? La risposta è amara. Il popolo delle periferie economiche, sociali, culturali, oltre che territoriali è diventato ovunque ostile alla sinistra storica, innanzitutto ai partiti della famiglia socialista europea, perché la sinistra storica lo ha colpito e continua a colpirlo con la corresponsabilità dell’ordine economico e sociale dell’UE e dell’euro-zona.

 

Di fronte a tali dati di realtà, il network del Plan B propone due strade: un “Plan A” e, appunto, un “Plan B”. Il Plan A consiste in un insieme di soluzioni per scardinare il mercantilismo dominante nell’Unione europea e nell’eurozona senza intaccarne l’architettura istituzionale e monetaria: da una banca centrale orientata verso l’obiettivo della piena occupazione e prestatrice di ultima istanza a politiche di aumento della domanda interna per i Paesi in avanzo commerciale; da una conferenza europea per la ristrutturazione dei debiti pubblici insostenibili a protezioni sociali per il lavoro, il welfare e l’ambiente nella regolazione degli scambi commerciali.

 

È una strada, siamo consapevoli, poco realistica sul piano politico, priva per ragioni storiche e culturali profonde di consenso di popolo, in particolare nel paese leader. È la strada ancora considerata irrinunciabile da una parte della sinistra, consapevole del lento soffocamento in corso della democrazia e del lavoro, ma preoccupata di rafforzare le destre nazionaliste attraverso il tentativo di ridislocare nella dimensione nazional-statuale le principali leve di politica economica: moneta, bilancio, cambio, regolazione dei mercati interni e dei movimenti di capitali e di merci e servizi. La strada del Plan A è segnata alla difficoltà a declinare, anche soltanto sul piano teorico, il patriottismo in chiave costituzionale. La strada del Plan A considera la moneta unica condizione necessaria a evitare lo scivolamento verso un regime di autarchia.

 

La seconda strada, quella che rende distintivo il nostro network, è il Plan B. Il Plan B muove dal riconoscimento dell’impraticabilità politica del Plan A o comunque dell’utilità negoziale di un’alternativa praticabile per far avanzare il Plan A o, almeno, contrattare condizioni di sopravvivenza per il singolo Stato membro in trappola e evitare ripetizioni del caso Grecia, schiacciata da rapporti di forza impossibili.

 

Come per il Plan A, anche per il Plan B è intensa la preoccupazione per le destre xenofobe e isolazioniste. Tuttavia, il Plan B vuole evitare che vengano spalancate praterie sempre più ampie alle forze regressive proprio dalla continuità delle politiche nel-liberiste accompagnata da astratti e retorici richiami a “più Europa” o da un’effettiva maggiore integrazione (“Europa a più velocità”) lungo la rotta definita dall’interesse nazionale tedesco e sostenuta, in ogni ambito nazionale, dalle elite legate alle constituency dell’export.

 

Il Plan B è urgente perché, come é sempre più visibile, l’euro ha potenti effetti divaricanti sui popoli del vecchio continente. Il Plan B è urgente perché dobbiamo rilegittimare sul piano della democrazia effettiva e del benessere sociale lo Stato nazionale al fine di promuovere la cooperazione europea per affrontare le sfide globali: dal climate change, alle migrazioni, alla sicurezza.

 

Il Plan B si articola in una pluralità di versioni: il “divorzio amichevole” dell’euro, ossia il superamento cooperativo della moneta come, ad esempio, illustrato da Stiglitz nel suo ultimo saggio; l’uscita di uno o più Paesi in un negoziato cooperativo con le principali istituzioni dell’Ue e dell’euro-zona (a cominciare dalla Bce); l’uscita individuale o di gruppo in un “negoziato ostile”. Tale arco di soluzioni viene sovente etichettato come velleitario.

 

Il “Vecchio Continente” è l’unico luogo politico dove, anche nella cosiddetta “sinistra radicale” resiste Ms Tina: There is no alternative”. Eppure, i segnali che arrivano vanno in direzione opposta. Da un lato, il Parlamento europeo punta a riformare i Trattati ma per incorporarvi il Fiscal Compact, mentre la Commissione europea presenta un imbarazzante “white paper” sul futuro della UE. Dall’altro, si fa largo in settori sempre più ampi di classi dirigenti, anche tedesche, la convinzione che l’unica alternativa possibile allo scenario jugoslavo in drammatico avvicinamento è lo scenario cecoslovacco, non gli Stati Uniti d’Europa per pochi intimi. La definizione politica e tecnica dei Plan B è urgente. Non abbiamo tempo da perdere.

 

In conclusione, care compagne e cari compagni, la nostra “celebrazione” in Campidoglio del sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma celebra ben poco della ricorrenza. In sintonia con i movimenti che il 25 Marzo attraverseranno le strade della capitale, ci concentriamo, invece, sulle possibili e radicali correzioni di rotta necessarie a evitare il naufragio del “Titanic Europa”.

 

Buon lavoro.

 

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