La settimana scorsa ci ha lasciato Alfredo Reichlin. Partigiano, giovanissimo, a Roma, comunista italiano, uomo di punta della covata del “partito nuovo” di Palmiro Togliatti, giornalista di popolo, dirigente autorevole sempre, statista della Repubblica democratica fondata sul lavoro senza aver mai occupato posizioni istituzionali apicali, maestro morale e intellettuale per tante generazioni, anche delle più giovani che si affacciano oggi alla politica.
In un’epoca di politica come competizione di vuoti ego ipertrofici, di politica come opportunistica eccitazione e raccolta delle pulsioni regressive di larghe fasce di popolo abbandonate e rabbiose, di politica come sistematica delegittimazione morale dell’altro da se, in lui come in altri grandi dirigenti politici della sua generazione, continuava a vivere “la politica come Storia in atto”.
Era disgustato dalla miseria della politica. Mi è rimasta stampata in mente una sua efficacissima sintesi delle tristi condizioni della politica oggi: “La finanza comanda, i tecnici eseguono e i politici vanno in televisione”. Il suo sguardo era sempre lungo e sempre orientato all’interesse nazionale, declinato a partire dalle condizioni degli ultimi. Classe e nazione, come da migliore lezione di Gramsci. Forse, troppo nazione e poco classe.
Negli ultimi anni era assillato, come scriveva spesso, dall’assenza a sinistra di una lettura aggiornata dell’Italia, in particolare del Mezzogiorno. L’ultimo passaggio di profondo travaglio per lui è stato il referendum sulla revisione costituzionale del 4 Dicembre scorso. Aveva le idee molto chiare, una valutazione strutturata, lungamente meditata e discussa con le personalità più rilevanti della Repubblica e della sinistra. Tuttavia, sentiva acutamente la responsabilità e il significato dello strappo dalla sua comunità di riferimento, il Pd, nonostante tutto. Per lui, educato alla disciplina di partito, è stato doloroso contraddire la linea della segreteria. Ma la gerarchia dei suoi valori di comunista italiano gli intimava di anteporre il Paese alla propria parte. Motivò il suo doloroso “No”, la sua rottura, in un breve, ma efficace articolo affidato, come sempre, a L’Unità, il giornale che aveva diretto per tanti anni, oramai lontano. Scriveva, il 1 Ottobre 2016: “Non illudetevi amici che il problema è chi comanda. È invece con chi si comanda. Con o senza il proprio popolo. Popolo vero, non opinione pubblica; sono due cose diverse”.
Sarà tutto più difficile senza Alfredo Reichlin. Ci stringiamo intorno alla famiglia. Un abbraccio a Roberta, a Lucrezia e Pietro, a Luciana, ai suoi nipoti e a tutta la sua bella famiglia allargata.
Alfredo rimarrà per noi un punto di riferimento, morale, culturale e politico imprescindibile.
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