Domani, in Commissione Affari Internazionali del Senato, si vota la ratifica del Ceta, il trattato commerciale internazionale di “libero scambio” tra Canada e Ue. Si vota quasi di nascosto e in fretta, affinché il presidente Mattarella, nell’incontro a Ottawa nei prossimi giorni con il presidente Justin Trudeau, possa portargli in dono la firma anche dell’Italia, necessaria come le firme di ogni altro Stato della Ue, dopo che una straordinaria mobilitazione europea, nel silenzio dei media mainstream, è riuscita a imporre attraverso la Commissione Ue il riconoscimento della “natura mista” dell’accordo.

Perché va fermato il Ceta? Per tante solide ragioni di rilevanza costituzionale. Primo, perché include l’Investment Court System (Ics), un sistema di risoluzione delle controversie sugli investimenti che permette alle imprese di citare in giudizio gli Stati e l’Ue dinnanzi a un tribunale speciale extra-territoriale. In sintesi, la giurisdizione viene sottratta alle istituzioni previste dalle costituzioni democratiche e “privatizzata”, sradicata da qualunque relazione con la sovranità democratica.

Secondo, perché il Canada non ha ratificato diverse convenzioni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, tra cui alcune delle Convenzioni fondamentali: la Convenzione sul diritto di organizzazione e contrattazione collettiva; la Convenzione sull’età minima per lavorare; la Convenzione in materia di sicurezza e salute dei lavoratori. In sostanza, si aggrava il dumping sociale, la concorrenza sulla pelle di lavoratori e lavoratrici.
Terzo, perché aumenta i rischi per la salute, come ha sottolineato, in una argomentata lettera a deputati e senatori, Roberto Moncalvo, presidente di Coldiretti, protagonista insieme a Cgil, Acli Terra, Legambiente, Slow Food, Green Peace, Fair Watch, Movimento Consumatori e tanti altri di un largo movimento per il blocco del Ceta. I rischi per la salute aumentano a causa “dell’applicazione del principio di equivalenza delle misure sanitarie e fito-sanitarie che consentirà ai prodotti canadesi di non sottostare ai controlli nei Paesi in cui vengono venduti. Ricordiamo che in Canada è impiegato un numero rilevante di sostanze attive vietate nella Ue”.
Quarto e ultimo qui, ma l’elenco delle ragioni per bloccare il Ceta è lungo, perché colpisce il nostro Made in Italy agro-alimentare: all’Italia sono riconosciute appena 41 indicazioni geografiche, a fronte di 288 Dop e Igp registrate, con conseguente rinuncia alla tutela delle restanti 247, oltre al sostanziale occultamento delle informazioni sull’origine dei prodotti a vantaggio dell’Italian sounding.

Fermare il Ceta è un atto di coerenza rilevante per chi vuole la difesa e l’attuazione della Costituzione, per chi vuole affrontare il problema della disuguaglianza. La “lotta alle disuguaglianze” è diventato il mantra politically correct della fase in corso. Ma è operazione di facciata se si continuano a attuare le stesse politiche degli ultimi trent’anni -fattori primari di allargamento a livelli pre-costituzionali delle disuguaglianze di ricchezza, reddito, opportunità, diritti e poteri- e si aggiunge ad esse qualche risorsa per interventi di contenimento della povertà.

Va, invece, riconosciuto un dato empirico: tra le principali determinanti strutturali delle disuguaglianze, c’è la liberazzazione dei movimenti di capitali e l’abbattimento della regolazione, tariffaria e non tariffaria, allo scambio di beni e servizi, sia in ambito globale, sia nella promozione del mercato unico europeo e delle direttive da esso ispirate.

Oramai è evidente che la persona, nella sua integrità, ha straperso nel gioco del “libero mercato”, ossia il mercato al servizio degli interessi più forti: i benefici per il “cittadino-consumatore” sono stati enormemente inferiori ai danni subiti dal “cittadino-lavoratore”. Oggi, in tutta l’Ue, chi intende contrastare le disuguaglianze sociali e ambientali, rivalutare il lavoro, sostenere la buona impresa produttiva, affermare il diritto alla salute deve affrontare un’emergenza: fermare nei Parlamenti nazionali la ratifica del Ceta.

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