Tratto dall’Huffington Post
10 anni fa, il 23 Agosto 2007, ci lasciava Bruno Trentin. Nato nel 1926, era stato il partigiano Leone a 17 anni. Poi, dopo la fine della guerra, la laurea a Padova, l’ingresso nella Cgil di Di Vittorio e una lunga ascesa: l’Ufficio Studi, capo della Fiom negli autunni più caldi degli anni ’60 e ’70, Segretario Generale della maggiore confederazione Italiana dei lavoratori dal 1988 al 1994. Intrecciata alla straordinaria vicenda sindacale, la vita di partito: la militanza, il Comitato Centrale del PCI nel 1960 e un ininterrotto protagonismo mite fino all’elezione con i DS al Parlamento europeo e, da ultimo, la presidenza della Commissione Progetto. Sempre, un curioso, sconfinato, approfondito e originale lavoro culturale per il programma fondamentale, premessa e bussola di ogni iniziativa sindacale e politica.
L’anniversario della scomparsa di Trentin va affrontato senza retorica, l’avrebbe considerato patetico. Ma va affrontato. Al fine di riprendere, nella messe delle sue grandi scelte e connesse riflessioni, quanto è utile, anzi necessario, per ricostruire la soggettività sociale e politica del lavoro: il tratto distintivo della funzione storica della sinistra, la condizione costitutiva, esistenziale, della democrazia, almeno della nostra democrazia costituzionale.
Qual è il capitale politico accumulato da Trentin da investire oggi? La risposta a tale domanda, oltre che nei suoi numerosi scritti pubblici e interviste, la possiamo trovare, nuda e brutale, nelle sue pagine private. Da poche settimane, grazie alla difficile decisione della sua compagna Marcelle Marie Padovani e alla cura competente e gentile di Iginio Ariemma, sono disponibili i “Diari” di Bruno Trentin degli anni da Segretario Generale della CGIL: un periodo cruciale della storia recente italiana, europea e globale, segnato, all’avvio, dalla caduta del Muro di Berlino e seguito, sul versante interno, dal passaggio dalla cosiddetta Prima alla Seconda Repubblica.
I Diari coraggiosamente pubblicati da Ediesse e Fondazione Di Vittorio, segmento di 20 quaderni riempiti dal 1977 al 2006, sono scritti scomodi, amari, spietati: verso i principali protagonisti delle confederazioni sindacali, anche della “sua” Cgil colpita dal “male oscuro” del correntismo subalterno ai contorcimenti e alle divisioni della sinistra storica (il PCI in disorientata transizione centrista, il PSI in irreversibile dissoluzione, Rifondazione Comunista in falso movimento); verso la Confindustria corporativa e miope; verso i leader del “suo” partito; e verso i vertici dei governi incrociati durante il suo mandato, in particolare il Governo Amato e il Governo Ciampi. Sono scritti dove ritorna martellante la stanchezza morale e intellettuale, il senso di impotenza politica fino alle fasi depressive combattute nelle arrampicate in montagna, per lo scarto tra la dimensione dei problemi e la “deriva miserabile” dei comportamenti di larga parte della classe dirigente politica e sindacale, compresi “i rentiers della politica del sempre peggio”, impegnata a salvaguardare e promuovere se stessa. Nella lettura, torna in mente “La solitudine del riformista” di Federico Caffè.
Il capitale politico accumulato da Trentin da investire oggi è, innanzitutto, sul terreno della ricostruzione morale della sinistra: “Nulla sembra riuscire a contrastare – scrive il 1 Febbraio 1992 – il processo attuale di disfacimento e di autolacerazione della sinistra… in segmenti sempre più piccoli. Subentra alla passione politica per un grande ideale o per un progetto politico, la passione gelosa per il proprio destino, anche se si svolgerà in un pianeta sempre più piccolo nel quale ritrovare attraverso l’immagine del potere la propria identità. Il motore delle idee o meglio delle esternazioni politiche ….. diventa l’amministrazione (il consolidamento, la valorizzazione o lo scambio) del proprio piccolo reame, non badando alle proprie laceranti contraddizioni, alla regressione culturale che si accetta come un necessario prezzo da pagare alla difesa della propria autorità e della propria spendibilità, in una corsa forsennata verso il basso, verso il più squallido narcisismo, verso il primitivismo culturale e un abisso di cinismo….”.
Il capitale politico di Trentin è decisivo anche sul terreno della ricostruzione intellettuale della sinistra, l’altra dimensione essenziale: la politica-progetto incardinata al nesso inscindibile tra persona, lavoro e democrazia, tratto di identità distintivo. Trentin, espressione di un amalgama riuscito tra marxismo critico, socialismo liberale e personalismo cristiano, è il dirigente sindacale e politico che più sistematicamente e coerentemente declina la dimensione costituzionale del lavoro, “l’autorealizzazione della persona nel lavoro”. Nella rivoluzione tecnologica in divenire durante la sua presenza al vertice della Cgil, coglie le potenzialità da conquistare a fronte dei prevalenti effetti regressivi sul lavoro.
Insomma, i Diari di Bruno Trentin sono una mappa preziosa per capire la portata morale e intellettuale del cantiere da aprire “a sinistra”. Sono una lettura incisiva per riconoscere, senza strumentalità, che il Pd e Matteo Renzi sono soltanto la fase terminale di una malattia di lungo periodo della sinistra storica italiana e europea.
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