Ieri, dopo l’endorsement del presidente Prodi al presidente Gentiloni e a “Insieme”, junior partner del Pd, dalle somme vette di Liberi e Uguali si avvertivano sentimenti di delusione e preoccupazione. Le stesse reazioni emotive generate un paio di settimane fa quando, certo ingenerosamente e infondatamente, “il fondatore de L’Ulivo” imputava a Mdp il fallimento dei tentativi di Giuliano Pisapia di rincollare i cocci del “centrosinistra”. In realtà, Liberi e Uguali dovrebbe dare la lettura opposta. I pronunciamenti di Romano Prodi a favore del presidente del Consiglio e del cosiddetto “centrosinistra” incardinato nel Pd+Europa sono attestati di merito: indicano che, tra mille limiti e contraddizioni, la sinistra con Liberi e Uguali incomincia a rialzare la testa, vira sull’europeismo costituzionale, dopo una lunga stagione di subalternità all’europeismo liberista, attuato in Italia nella versione compassionevole del cattolicesimo liberale di Andreatta e dei suoi allievi ulivisti.

 

Romano Prodi vuole continuità con la stagione ulivista, quindi nelle sue preferenze elettorali sceglie coerentemente il Pd+Europa. Liberi e Uguali si deve proporre, invece, in discontinuità profonda, non solo con gli anni di Matteo Renzi, ma con una stagione politica difficilissima durata un quarto di secolo, da valutare nei suoi successi e nei suoi errori, senza semplificazioni, ma da chiudere. Liberi e Uguali si deve presentare come forza radicalmente innovativa in termini di cultura politica e di agenda, innanzitutto nella declinazione del nesso Italia-Unione Europea. Un nesso sistemico, fondativo di soggettività politica, non uno dei temi del programma. Lungo l’asse dell’europeismo ulivista, Liberi e Uguali non ha senso politico: è un’intonazione vintage del Pd+Europa e non può che occupare uno spazio elettorale residuale.

 

Le parole dell’ex presidente della Commissione europea aiutano indirettamente a scavalcare gli ostacoli di senso politico lungo la strada elettorale di Liberi e Uguali, segnalati da Carlo Clericetti nel suo ultimo post su Repubblica.it: “Che cos’è allora che non funziona, che non convince quegli elettori di sinistra che si sentono costretti allo sciopero del voto? A non funzionare è l’identità del nuovo partito, che non comunica la volontà di un vero cambiamento di rotta. Il messaggio che arriva agli elettori è che LeU sia una riedizione di “Italia bene comune”, cioè del Pd bersaniano del 2013. Il Pd della “non vittoria”, ma soprattutto il Pd che veniva da una storia sbagliata e che si sarebbe rivelato l’anticamera del renzismo. Ecco, gli elettori ‘in sciopero’ forse si aspettavano qualcosa di diverso, non un partito che dia l’impressione di pensare ‘heri dicebamus’. E questa impressione LeU la dà.”

 

Cos’è “il vero cambiamento di rotta” necessario a ricostruire la sinistra di popolo? È il patriottismo costitituzionale, quindi l’europeismo costituzionale, alternativo sia al sovranismo delle destre, sia all’europeismo liberista del Pd+Europa. Che vuol dire?

 

Vuol dire che è ridicolo continuare a imputare “ai tecnocrati di Bruxelles” le conseguenze di un impianto europeo radicalmente liberista, frutto di un disegno lucidissimo e iper-politico a favore dell’interesse nazionale tedesco e degli interessi forti di ciascun Paese membro (le grandi istituzioni finanziarie, le imprese esportatrici e le aristocrazie operaie beneficiarie del welfare aziendale). Vuol dire che non ha senso politico indicare come prospettiva “Gli Stati Uniti d’Europa” e la “riforma dei Trattatti” in nome di “unico popolo europeo”. Sono sogni bellissimi, ma completamente astratti, impraticabili per radicate ragioni storiche, culturali, morali. Sono istintivamente incomprensibili, anzi ostili, a quelle periferie sociali e esistenziali, colpite dall’europeismo reale degli ultimi 25 anni alle quali una sinistra di popolo dovrebbe tornare a parlare. Vuol dire riconoscere le contraddizioni tra i principi fondamentali della nostra Costituzione e l’impalcatura istituzionale e di policy dei Trattati e dell’euro. Vuol dire incominciare a denunciare l’insostenibilità del primato della concorrenza e della stabilità dei prezzi scolpito delle normative della Ue e nella fisiologia dell’eurozona sul primato del lavoro e della solidarietà sociale affermato nella nostra Carta fondamentale e, in forma diversa, nelle altre Carte scritte dopo il secondo conflitto mondiale. Vuol dire interpretare un europeismo “adulto” in grado di rilevare la deriva verso lo “Stato minimo” prescritta dai Trattati e dall’agenda mercantilista della moneta unica e la necessità dell’intervento pubblico nella regolazione dell’economia prevista nella nostra Costituzione per “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto libertà e uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Soltanto così Liberi e Uguali trova senso politico e spazio elettorale.

Comments are closed

Latest Comments

Nessun commento da mostrare.