Articolo pubblicato sull’Huffington Post
Prodi, Calenda, Pd: fermatevi! Lo dico con rispetto, ma è estremamente preoccupante l’analisi e la conseguente proposta espressa nell’editoriale del presidente Prodi sul Messaggero, nell’intervista del ministro Calenda al Corriere della Sera e nelle dichiarazioni dei vertici del Pd.
Un’analisi e una proposta alimentata dalla spiegazione del no a Paolo Savona. Inquadrare le prossime elezioni, come un referendum pro o contro l’apparenza dell’Italia all’Ue, all’eurozona, all’occidente è foriero di sciagura e contribuisce attivamente a spingere l’Italia nel baratro.
Prospettare un “Fronte Repubblicano” degli europeisti, democratici, civili, costituzionali contro il fronte dei barbari, anti europeisti, razzisti, autoritari, eversori vuol dire aggravare la spaccatura del nostro Paese non soltanto sul piano politico, ma economico, sociale, territoriale e, inevitabilmente, costituzionale. Vuol dire mettere metà o oltre la metà degli italiani fuori dalla Costituzione.
Prodi, Calenda e i leader del Pd come pensano di tenere insieme dopo le elezioni, anche vi fosse la (improbabile) vittoria del Fronte Repubblicano, un’Italia portata allo scontro totale? Come ritrovare un clima di convivenza minima, in un Paese che continuerà a essere gravato sul piano economico, sociale e di finanza pubblica dal quadro dei Trattati e dal mercantilismo estremo imposto alla Germania all’eurozona? Nel migliore dei casi, la sciagura è soltanto rinviata.
Il novello statista Calenda richiama il voto del 1948. È evidente, invece, la radicale differenza. Allora, quel voto decisivo per il futuro dell’Italia uscita a pezzi dalla Seconda Guerra mondiale, combattuto su versanti distantissimi anche sull’atlante geo-politico, vedeva la contrapposizione di due campi che avevano un comune denominatore etico, culturale e politico corroborato nella resistenza al e nella vittoria sul nazi-fascismo, espresso nella scelta della Repubblica nel referendum del 1946 e poi cementato nella condivisione della scrittura e nel comune riconoscimento della Costituzione.
Oggi, purtroppo, la sostanza etico-politica necessaria a tenere insieme la comunità nazionale è esile. Sono foriere di sventura le élite che, accecate dal panico, propongono e costruiscono le condizioni per allargare le lacerazioni per una miope e perdente battaglia elettorale.
Oggi, invece che di autolesionistici fronti repubblicani, abbiamo bisogno di un’iniziativa politica per provare a tenere insieme la nostra comunità nazionale. Un’iniziativa non per unire i civilizzati contro i barbari, ma per associare gli interessi economici e sociali, in particolare dipendenti dalla domanda interna, che hanno bisogno di un radicale cambiamento, ma senza correre i rischi dell’avventurismo e dell’improvvisazione.
Un’iniziativa che provi a entrare nelle contraddizioni dei presupposti e inconciliabili fronti e trovare un progetto condiviso. Quindi, una lettura che riconosca che l’ordine economico e sociale del mercato unico e dell’eurozona è fondato sulla svalutazione del lavoro, in profonda contraddizione con i nostri principi costituzionali. Una lettura che, al contempo, sia consapevole dell’inesistenza di facili via di uscita dalla Ue e dall’eurozona.
Insomma, tra l’europeismo liberista del Fronte Repubblicano e il nazionalismo del fronte contrapposto, la strada per riunire la nostra comunità nazionale è il patriottismo costituzionale, ossia il primato della nostra sui Trattati europei, da portare avanti con intelligenza, consapevolezza, determinazione, ma senza strappi distruttivi.
Chi vuol provare a tenere insieme l’Italia, chi vuole impegnarsi per la dignità del lavoro, la giustizia sociale, la conversione ambientale, chi vuole articolare una relazione Italia-Unione europea all’insegna della cooperazione, non dell’autarchia o di impossibile isolazionismo, deve mettere in campo, politico e elettorale, una strategia alternativa ai due pericolosi fronti. Questo dovrebbe essere il compito di Liberi e Uguali.
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