Tratto dall’huffington Post

Negli ultimi mesi, dopo le elezioni, è venuto in primo piano il nodo politico Italia-Unione Europea-Eurozona. Non è una novità. Inedita è, invece, la visibilità acquisita “grazie” al No alla nomina di Paolo Savona a ministro dell’Economia e delle Finanze.

Ex malo bonum: il nesso nazionale-sovranazionale è, insisteva Antonio Gramsci già un secolo fa, decisivo per la qualità della democrazia e per le risposte possibili ai diversi interessi economici e sociali in campo. È decisivo per noi, come per ogni altro Paese. Certo, in misura diversa a seconda delle condizioni economiche e di finanza pubblica specifiche, del quadro regolativo vigente, dell’assetto monetario.

Un conto sono gli Stati Uniti dotati di valuta di riserva internazionale. Un conto è la Cina, gigante commerciale. Un conto è il Regno Unito ancora in possesso di moneta nazionale. Un conto, infine, l’Italia, inserita in un mercato unico europeo alimentato dalla svalutazione del lavoro, senza più disponibilità della propria valuta e “ricattata” da un pesante debito pubblico.

Ma è difficile contraddire Luigi Zingales quando afferma:

“Nel XX Secolo, quando i risultati elettorali non piacevano alle élite e ai suoi alleati internazionali, i carri armati arrivavano nelle strade. Nel XXI Secolo, la reazione è meno sanguinosa, ma non meno invasiva. Invece dei carri armati, operano i mercati finanziari” (Foreign Policy, May 31, 2018).

L’interpretazione del nesso nazionale-sovranazionale è fondativa del programma di un partito politico. Ne è la base distintiva. Ne definisce la funzione storico-politica. Tale nesso è stato, per chi scrive, la primaria variabile esplicativa del voto del 4 Marzo scorso.

Con grandi approssimazioni, si può riassumere così: da un lato, il variegato insieme dell’export beneficiato dall’ordine mercantilista europeo e quanti sono culturalmente e professionalmente attrezzati per il cosmopolitismo hanno votato per il Pd+Europa, per Forza Italia nella sua ultima incarnazione merkeliana e, nelle sue frange “Erasmus”, per Liberi e Uguali e finanche, la parte più scapigliata, per Potere al Popolo. Vivono nei centri delle città e nelle periferie storiche gentrificate.

Dall’altro lato, l’orda della domanda interna, “zero tituli”, da due decenni soffocata da mercato unico e euro, ha scelto, nel Mezzogiorno, in prevalenza M5S e, soprattutto al Nord, la Lega di Salvini e l’appendice di Fratelli d’Italia. Vive nelle periferie, nelle fasce sub-urbane, nelle aree rurali.

In tale quadro, per ricostruire una forza politica dalla parte del lavoro, quindi insediata nelle periferie culturali, economiche e sociali, è evidente la necessità di ridefinire, innanzitutto, la relazione tra contesto nazionale e dimensione europea. Vale per tutti.

È una discussione in corso in ciascuno dei partiti della sinistra europea, sia della sinistra storica asserragliata nel Partito dei Socialisti Europei e nella Sinistra Europea, sia nelle sinistre giovani e originali, come Podemos e La France Insoumise. Vale, in particolare, per Liberi e Uguali che, dopo il modesto risultato del 4 Marzo, ha finalmente, in mezzo a tante resistenze, deciso di avviare una difficile fase costituente.

Per segnare tale percorso, un punto di riferimento importante è la “Dichiarazione per una rivoluzione democratica in Europa“, sottoscritta a Lisbona il 12 Aprile scorso da Pablo Iglesias, Segretario Nazionale di Podemos, Jean-Luc Melenchon, leader de La France Insoumise e Catarina Martins, presidente del Bloco De Esquerda.

Scrivono:

“È ora di rompere la camicia di forza dei trattati europei che impongono l’austerità e favoriscono il dumping fiscale e sociale. È ora che chi crede nella democrazia faccia un passo in avanti per rompere questa spirale inaccettabile.

Abbiamo bisogno di mettere un sistema ingiusto, inefficace e insostenibile al servizio della vita e sotto il controllo democratico della cittadinanza. Abbiamo bisogno di istituzioni al servizio delle libertà pubbliche e dei diritti sociali, che sono la base materiale stessa della democrazia.

Abbiamo bisogno di un movimento popolare, sovrano, democratico, che difenda le migliori conquiste delle nostre nonne e dei nostri nonni, dei nostri padri e delle nostre madri, e che possa lasciare un ordine sociale giusto, praticabile e sostenibile alle generazioni che verranno.”

Insomma, l’alternativa non è fra società aperta e società chiusa, tra europeismo liberista e nazionalismo, tra Fronte Repubblicano e fascismi. Sono polarizzazioni senza speranza. Vanno disarticolate. La Dichiarazione di Lisbona apre uno spazio culturale e politico anche per LeU.

Ne discutiamo insieme a dirigenti della Linke, de La France Insoumise e di Podemos giovedì 21 Giugno, alle 16.30, a Piazza Capranichetta 72.

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