Comprensibili da punto di vista propagandistico le parole di Alexis Tsipras sull’accordo raggiunto stanotte a Bruxelles per la conclusione del programma per la Grecia e il parzialissimo rinvio delle scadenze del debito pubblico: dopo aver dovuto attuare sotto ricatto politiche brutali e regressive, prova a raccontare che siano servite.
Purtroppo, non vi è nulla di storico nella notte di ieri e il debito pubblico greco rimane insostenibile, in discesa sui grafici grazie a irrealistici e devastanti avanzi primari, programmati al 3,5% del Pil fino al 2022 e al 2,2% per i decenni successivi.
L’amara verità viene esplicitamente riconosciuta dalle “riserve” espresse dal Fmi e dal commento di Mario Draghi che si complimenta con i governi europei soltanto per aver previsto la possibilità di ridiscutere la ristrutturazione del debito greco nei prossimi anni. L’amara verità è che la cura liberista della Troika guidata dai governi più forti dell’eurozona ha aggravato la malattia: ha abbattuto l’economia reale, tagliato il welfare, colpito le condizioni del lavoro e, inevitabilmente, lasciato al 180% del Pil il debito. Senza allentare la rotta mercantilista e avviare una svolta Keynesiana per investimenti pubblici e domanda interna, il debito pubblico della Grecia rimane insostenibile e diventano sempre più rischiosi i debiti di tanti altri Paesi dell’eurozona.
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