Articolo pubblicato sull’Huffington post

Caro Nicola,

la tua valutazione, dopo il voto di domenica scorsa, ultima (?) tappa del lungo declino del Pd e di tutte le sinistre più o meno rosse, mi è sembrata la più consapevole della portata della sfida:

“Un ciclo storico si è chiuso. Vanno ridefiniti un pensiero strategico, la nostra collocazione politica, le forme del partito e il suo rapporto con gli umori più profondi della società italiana, l’organizzazione della partecipazione e della rappresentanza nella democrazia”.

È così. Si è chiuso un ciclo storico. Si è chiuso il “Trentennio inglorioso”, caratterizzato in tutte le “economie mature” da due fatti interconnessi: da un lato, la regressione delle condizioni del lavoro, lo spiaggiamento delle classi medie, l’esplosione della disuguaglianza sociale, l’ingiustizia ambientale e lo svuotamento della democrazia; dall’altro, la dismissione dei principali strumenti regolativi dello Stato nazionale e, conseguentemente, la marginalità politica, finanche la scomparsa, di tutti i partiti della famiglia socialista europea (a parte, non a caso, il Labour rigenerato culturalmente prima che politicamente come sinistra nazionale e popolare da Jeremy Corbin).

In sintesi, la parabola specifica del Pd è variante nazionale di una dinamica involutiva generale. Quindi, partiamo da qui. Il problema non è mandare a casa Matteo Renzi e mettere in seconda fila i suoi derivati. Il dimissionario Segretario del Pd, ora facile capro espiatorio, è stato soltanto l’estremo protagonista della fase terminale della parabola della sinistra storica. Il problema è capire cosa è avvenuto. Poi, che fare.

Perché nella fase di sempre più acute sofferenze economiche e sociali, i partiti originati dal movimento operaio, nati a cavallo tra la fine del XIX e l’inizio del XX Secolo per affrontarle, sono avversati ovunque in Europa da quanti dovrebbero rappresentare?

Perché la composizione sociale degli elettori della sinistra storica e delle cosiddette sinistre radicali e anti-sistema è confinata alle upper classes dei centri storici delle grandi città? Per una ragione semplice: tutti i partiti della famiglia socialista europea sono stati corresponsabili della costruzione di un ordine economico e sociale di svalutazione del lavoro e di svuotamento della sovranità democratica.

In particolare, nel dopo ’89, dispiegato dall’egemonia liberista come “fine della Storia”, hanno, spesso orgogliosamente, come nel caso de L’Ulivo e del Pd, contributo a realizzare il mercato unico europeo e l’euro come fattori di aggravamento degli effetti negativi della globalizzazione. Certo, vi sono tante attenuanti politiche serie e, in larga parte della classe dirigente di quella sinistra, inconsapevolezza e buona fede. Ma la responsabilità storica rimane.

Caro Nicola, vogliamo partire da qui? Da un’analisi dolorosa ma necessaria delle ragioni strutturali dei fenomeni politici? A Frattocchie, ci hanno insegnato che, secondo Gramsci, un partito si definisce nella declinazione autonoma e distintiva del nesso nazionale-sovranazionale, quindi, per noi, Italia-Unione europea-Eurozona, innanzitutto.

Attenzione, giustapporre intorno al Pd “liberato” esperienze civiche, buone classi dirigenti amministrative, intellettualità fresca è certamente condizione necessaria, ma non sufficiente a mettere in campo un adeguato e credibile progetto politico per il nostro Paese. I tempi sono duri.

Di fronte a tale quadro, per decidere che fare, è dirimente rispondere alla domanda: quali interessi si punta a rappresentare, a tutelare, a promuovere? È il quesito di fondo, comune a tutte le sinistre europee. Rileva per LeU, come rileva per il Pd.

Il “tuo” Pd chi vuole rappresentare? L’ordine mercantilista dei Trattati europei e dell’eurozona colpisce nella sua fisiologia il variegato popolo delle periferie economiche, sociali e culturali, mentre beneficia le filiere dell’export di qualità, i ceri medi riflessivi, le aristocrazie culturali e amministrative, insomma la constituency potenziale del “Fronte Repubblicano”, purtroppo minoranza sociale prima che elettorale.

Il Pd “ridefinito sul piano del pensiero strategico e della collocazione politica” su chi vuole concentrare la sua funzione storica? Sul piano del programma fondamentale, come intende sottrarsi alla morsa europeismo liberista, da un lato, e nazionalismo dall’altro? Il primato della nostra Costituzione rispetto ai principi prevalenti nei Trattati europei, il patriottismo costituzionale, può essere la bussola per navigare, controcorrente e controvento?

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