L’intervento di Ursola von Leyen al Parlamento europeo è stato abile, ma di assoluta continuità sui pilastri economici e sociali. I partiti della famiglia S&D che, come il Pd, dichiarano entusiasti il loro voto si condannano a un’ulteriore fase di subalternità culturale e marginalità politica, nonostante qualche postazione poco più che cerimoniale ottenuta in cambio. La Candidata Presidente è stata politicamente iper-corretta sul tutte i punti cari al continuum liberal-progressista main-stream: dall’evocazione dell’economia sociale di mercato, al completamento della Capital Market Union, dall’ambiente ai diritti civili, dalle liste elettorali transnazionali all’iniziativa legislativa del Parlamento di Strasburgo. Invece, nulla o affermazioni di completa continuità sui capisaldi dei Trattati e sull’agenda di politica economica. Nulla sulla limitazione dei movimenti di capitali, merci, servizi e persone in un mercato unico europeo drammaticamente asimmetrico. Nessun accenno a fermare l’ulteriore allargamento Ue ai Balcani. Nessun riferimento al Bilancio dell’Eurozona. Niente sulla necessità di attenuare l’estremismo mercantilista Made in Germany e riorientare i motori della crescita verso la domanda interna. Zero su risorse comunitarie certe e aggiuntive per un piano europeo di investimenti pubblici da finanziare con Eurobonds. Soprattutto, è stato raggelante, ma non sorprendente data la sua storia e la sua appartenenza politica, sentirla affermare: ‘we need to work within the Stability and Growth Pact’. Quindi, nessuna apertura a scorporare almeno una parte degli investimenti pubblici nazionali dal calcolo del deficit. Nessuna disponibilità a rivedere il Fiscal Compact. In base a tale scenario, le conseguenze continueranno a essere maggiore svalutazione del lavoro, maggiori disuguaglianze e maggiori spazi ai partiti nazionalisti.

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