Articolo pubblicato sull’Huffington Post
Il governo Conte 2 nasce dentro un passaggio di fase storica. Nelle comunicazioni del presidente del Consiglio oggi alla Camera risuona in un passaggio chiave: “Mettere la propria patria al di sopra di tutto”. La sfida è nella declinazione fattuale. Ma nell’orientamento è un passo avanti. Siamo, infatti, a un “Momento Polanyi”.
Nel biennio 2016-2018, dalla Brexit all’elezione di Trump, alla bastonata sul referendum costituzionale in Italia, al filotto di elezioni politiche nazionali segnato dall’avanzata dei partiti denigrati e esorcizzati come “populisti” e “sovranisti”, è diventata evidente l’insostenibilità del quadro regolativo liberista globale e europeo.
La sofferenza economica e sociale, diffusa anche tra le classi medie, è stata raccolta da loro. Tuttavia, larga parte delle classi dirigenti va avanti come “sonnambula” e si rasserena per “l’avanzata, ma non lo sfondamento” conseguito dai “barbari” alle elezioni europee.
Risponde con la riduzione delle dosi dell’amara medicina e con un insidioso, ma illusorio, tentativo di cooptazione e normalizzazione dei partiti e dei governi fuori linea. Provano a rilegittimare T.I.N.A. (There is No Alternative: non c’è alternativa al liberismo), nonostante gli insostenibili effetti economici e ambientali: o l’europeismo liberista o un ordine autoritario, pericolosamente tendente al fascismo, come enfatizzato in particolare dalla sinistra identitaria, senza più funzione storica.
Il tentativo di normalizzazione è portato avanti, da settori importanti dentro e fuori i confini nazionali, anche con il governo Conte 2: si rimarca la discontinuità con il Conte 1, mentre si puntellano i tratti di continuità con la stagione precedente. Ma il passaggio è complesso e contraddittorio. Va, infatti, riconosciuto, grazie al neo-nato esecutivo, l’avvio potenziale della ricostruzione degli argini costituzionali pericolosamente forzati dalla Lega: la centralità del Parlamento, la declinazione costituzionale dell’autonomia differenziata, una legge elettorale adeguata a dare rappresentanza al pluralismo sociale e culturale, l’archiviazione della crociata contro le donne disposta dal DdL Pillon, una sensata regolazione e limitazione dei flussi migratori senza cattivismi né buonismi.
In sintesi, la crisi politica e istituzionale di agosto ha rimesso in moto lo scenario politico italiano nella “grande trasformazione” in corso. È richiesta analisi differenziata, attenzione anche alla tattica politica, oltre che alla strategia.
La stella polare per navigare in un mare pieno di insidie per noi è una soltanto: ridare valore sociale e politico al lavoro, condizione necessaria per la conversione ecologica dell’economia e della società e per ricostruire il primato della Costituzione sui Trattati europei, a partire dalla sovranità popolare. Per un femminismo radicalmente alternativo al liberismo. Per migliorare le condizioni materiali di vita delle fasce di popolo delle periferie esistenziali, economiche e sociali, non solo urbane.
Siamo consapevoli dei connotati strutturali, dei riferimenti sociali e dell’impianto culturale dei protagonisti del governo Conte 2. Ma la sfida va raccolta. Con le migliori energie dei movimenti e delle organizzazioni della cittadinanza attiva, con gli altri settori parlamentari critici proveremo a resistere all’offensiva restauratrice e a invertire la rotta rispetto all’europeismo liberista dominante nell’ultimo trentennio.
Il rischio di un “governo Orsola”, addolcito da un po’ di flessibilità sul deficit di bilancio, è forte. Ma bisogna pure riconoscere il valore costituzionale dell’interruzione della deriva guidata dalla Lega.
In sintesi, una fiducia condizionata al governo Conte 2, non una cambiale in bianco. Una fiducia da verificare su ogni singolo provvedimento, a partire dalle misure di politica economica: la Nota di Aggiornamento al Def; il Disegno di Legge di Bilancio; una strategia per il Mezzogiorno; la revisione del Fondo Salva Stati; i Trattati commerciali, a cominciare dal No al Ceta; la resistenza all’ulteriore allargamento dell’Ue ai Balcani e alle principali direttive europee di svalutazione del lavoro, come la Direttiva Bolkestein e quella relativa sui lavoratori dislocati.
Per un governo davvero di svolta, al Pd sarebbe richiesta una radicale inversione di rotta, innanzitutto sul piano della cultura politica, prima che di policy e di interessi di riferimento. Per il M5S sarebbe sufficiente, invece, curare le proprie basi sociali.
È difficile. Forse impossibile. Ma attenzione: le domande di protezione sociale e identitaria raccolte dalla Lega sono vere, profonde, rabbiose. Vengono anche da fasce di popolo colpite dalle scelte, indotte o autonome, dei governi ulivisti e di centro-sinistra.
Senza affrontare le cause strutturali della svalutazione del lavoro, quindi senza mettere limiti al mercato unico, senza una qualche autonomia nell’interpretazione del “vincolo esterno”, senza ritrovare una funzione attiva dello Stato nazionale, la risposta regressiva diventa ancora più forte.
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