Articolo pubblicato sull’Huffington post
La sconfitta in Umbria era attesa, sebbene non nelle dimensioni della disfatta arrivata con i risultati stanotte. Vi sono, ovviamente, accidenti locali e congiunturali (lo scandalo nella sanità regionale).
Ma è evidente il tratto generale e di fase dietro al voto. Il trionfo della destra si è costruito nel tempo: la neo-presidente è stata sindaca di Montefalco per 10 anni. A Perugia, un sindaco di Forza Italia è alla seconda consigliatura. Anche Terni, storica città operaia e rossa, è finita a un sindaco leghista.
L’avanzata dirompente di Lega e FdI è avvenuta al seguito del rattrappimento economico e sociale nella regione a elevata qualità culturale e civica: il tessuto di micro e piccole imprese tradizionali, le poche grandi imprese fordiste, il mondo delle professioni ad esse in larga misura legato non ha resistito al soffocamento della domanda interna indotto, in primis, dal mercato unico europeo.
Certo, l’Umbria ospita notevoli eccellenze, visitate dal premier Conte e dai ministri in campagna elettorale. Loro, i loro lavoratori e lavoratrici sindacalizzate, coperti da welfare aziendale sempre più a carico della fiscalità generale, votano Pd. Il problema è che sono una ristretta minoranza sociale, in Umbria e in Italia. Il problema è che chi si sente perso, sconfitto, spiaggiato e domanda protezione sociale e identitaria è larga maggioranza: un campo largo di popolo etichettato come razzista e evasore dalla sinistra storica, sia nella sua componente governativa, sia in quella cosiddetta antagonista o radicale.
Una realtà diffusa che la sinistra storica non riesce a considerare, concentrata com’è sui buoni e sugli onesti, i suoi elettori, colti, benestanti e benpensanti dei centri delle città. Il M5S, il populismo né di destra né di sinistra ingrossato dalla rabbia, dalla disperazione, dalle domande di giustizia sociale e ambientale, si sgonfia alla prova difficilissima del governo e di fronte a un populismo sfacciatamente, orgogliosamente, ideologicamente declinato a destra. È ora di girare pagina.
È ora di dismettere il suprematismo morale. È ora di riconoscere le ragioni profonde, reali, materiali, delle domande intercettate dalla destra: è legata a doppio filo, anche in un Umbria, con gli interessi più forti di segno conservatore, ma raccoglie il consenso degli esclusi grazie al suo abile impegno a esaltare il suo tratto popolare e nazional-nazionalista.
Per chi nel versante della sinistra storica vuole ricostruire una relazione di popolo, è ora di cambiare radicalmente agenda per introdurre misure di protezione sociale e identitaria. Che vuol dire? Vuol dire riconoscere la parzialità del segmento sociale del lavoro dipendente sindacalizzato e non concentrare il messaggio della prima Legge di Bilancio, scritta senza mandato elettorale, su un misero ‘cuneo fiscale’ finanziato da una moralistica e indifferenziata crociata anti-evasione.
Vuol dire predisporre un quadro di politiche realiste in grado di limitare i flussi migratori in ragione della effettiva capacità di integrazione. Vuol dire riconoscere e trattare in modo appropriato l’evasione di sopravvivenza delle attività marginali o pressate dalla concorrenza selvaggia del mercato unico europeo.
Vuol dire, quindi, proteggere il lavoro subordinato e autonomo boccheggiante, la micro impresa asfissiata e le professioni impoverite dagli effetti devastanti del libero mercato: per esempio con il No, chiaro, forte e motivato, al Ceta, all’ulteriore allargamento della Ue a Albania e Macedonia del Nord, alle Direttive europee di ancor più acuta svalutazione del lavoro (‘mobilità package’).
L’alleanza tra la sinistra storica e il M5S va salvaguardata. Non è una pozione magica per risolvere problemi profondi e strutturali. Va però resa sinergica, innanzitutto attraverso una condivisa lettura delle discontinuità di fase. Non può andare avanti come fronte anti-Salvini, giustapposizione di necessità di posizioni opposte o comunque reciprocamente delegittimate.
Non può andare avanti in una implicita divisione del lavoro in base alla quale il Pd rappresenta le ztl e il M5S le periferie sociali. È necessario un salto di qualità politica di tutti i protagonisti. Insistere lungo la rotta dell’europeismo liberista porta, anche a secco di voti in casa, a innegabili successi nei palazzi di Roma e Bruxelles, ma confina dentro un territorio sociale sempre più ristretto e assediato.
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