Articolo pubblicato sull’Huffington Post
Ieri, in Parlamento, sull’ex Ilva, il governo italiano ha difeso l’interesse nazionale. Lo ha fatto attraverso le comunicazioni, di notevole spessore tecnico e politico, del ministro Patuanelli. Invito a leggere il suo intervento: prima, una ricostruzione analitica delle complesse vicende giudiziarie, legislative, industriali, occupazionali e ambientali che dal 2012 colpiscono Taranto, il Mezzogiorno e l’Italia.
Poi, l’individuazione dell’obiettivo vero di ArcelorMittal, emerso a Palazzo Chigi con l’irricevibile condizione di 5.000 esuberi posta per rimanere a produrre nel nostro Paese, ossia lasciare l’Italia dopo l’incursione per prendersi uno spazio di mercato.
Infine, l’annuncio, tra le opzioni in campo, della nazionalizzazione dell’azienda per salvare, nell’osservanza dell’imprescindibile vincolo alla sicurezza del lavoro e alla salvaguardia della salute e dell’ambiente, la fabbrica pugliese, la nostra capacità produttiva di acciaio e la forza della manifattura nazionale.
In sintesi, ieri la posizione del governo, condivisa da tutte le componenti della maggioranza, ha ridato alla politica il primato sull’economia, ha indicato chiaramente cosa vuol dire affermazione positiva e potenzialmente progressiva della sovranità nazionale e ha smascherato il finto sovranismo della destra che, chiamata a unirsi in uno scontro durissimo con una gigante economico e finanziario, continua a fare sciacallaggio e, di fatto, sponda a chi sfrutta senza scrupoli territori in acuta sofferenza sociale.
A proposito della questione “immunità penale”, il passaggio chiave dell’eccellente intervento del ministro dello Sviluppo Economico è il seguente:
“ArcelorMittal, pur criticando l’atteggiamento del legislatore – la mancata estensione del periodo di non punibilità al 23 agosto 2023, rappresentata come criticità – e augurandosi un intervento normativo correttivo – palesava la chiara intenzione di non voler condizionare la propria offerta a tale, auspicato, intervento normativo, la miglior prova di ciò rinvenendosi, anzitutto, nella qualificazione dell’offerta medesima come incondizionata e, in seconda battuta, alcuni mesi dopo, con la sottoscrizione di un contratto che non disciplinava minimamente la questione… Dalle considerazioni che precedono, pareva emergere come ArcelorMittal non fosse nella condizione di poter legittimamente invocare la risoluzione del contratto e, con essa, lo scioglimento del vincolo giuridico.”
Di fronte a tale quadro, due nodi politici di fase:
1. Siamo entrati in un tornate storico, “momento Polanyi” è stato correttamente identificato, dove per tutelare l’interesse nazionale ritorna a essere necessario l’intervento pubblico nell’economia.
2. Senza dazi, è insostenibile produrre acciaio a Taranto. È una scomoda verità, evitata da tutti i protagonisti. È facile, ma strumentale come rivelato dal ministro Patuanelli, per ex ministri confindustriali, opposizioni, sindacalisti, commentatori disinvolti trovare il capro espiatorio in un governo segnato da “demagogia e incompetenza”. È facile anche per qualche ex premier votare la cancellazione dello scudo penale per ArcelorMittal il giorno prima e, il giorno dopo, presentare un emendamento per ripristinarlo. È facile, ma rimuove il problema vero: in un “libero mercato” globale, drammaticamente squilibrato in termini di standard sociali e ambientali, o innalzi i dazi, almeno ai confini Ue, oppure abbandoni la produzione di acciaio, in particolare a Taranto. Senza dazi, i vincoli sacrosanti, ma costosissimi, sul versante ambientale e sanitario mettono fuori mercato chiunque produca a Taranto.
La strada imboccata per l’acciaio, va percorsa anche per Alitalia, dopo il saccheggio compiuto da Ethiad assistita dai complici italiani al vertice della compagnia.
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